Identificato un circuito che induce la caccia alla preda

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 03 febbraio 2018.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il profilo di cacciatori e raccoglitori attribuito ai nostri progenitori ancestrali è considerato una certezza, tanto in paleoantropologia quanto in biologia evoluzionistica; in particolare, l’attività di caccia è ritenuta un’evoluzione dell’istinto predatorio e si ritiene che abbia avuto un ruolo non secondario nello sviluppo di varie abilità psicomotorie e cognitive. Da processi elementari, quali quelli della percezione visiva in rapporto di potenziamento reciproco con l’attenzione selettiva e di feedback con l’atto motorio, ad elaborazioni impegnative, come la scelta comportamentale necessaria a far fronte ad un imprevisto, le abilità richieste e sviluppate dalla caccia sono varie.

Sul modello degli schemi di azione prefissata (FAP, fixed action pattern), cui appartiene la sequenza costituita da individuazione, inseguimento e raggiungimento della preda, nell’evoluzione sono stati generati repertori di atti finalizzati ad uno scopo, materialmente rappresentato dall’animale cacciato. Verosimilmente, la scelta in questa gamma di azioni dettata dalle esigenze dell’esperienza ha consentito, nel corso dell’evoluzione, di aggiungere alle memorie comportamentali delle specie nuovi apprendimenti, selezionati fra strategie, procedure e soluzioni adottate in quanto efficaci.

È opinione comune a paleoantropologi e neurobiologi che un definito e importante sostrato neurale, verosimilmente conservato lungo la filogenesi dei mammiferi, costituisca la base morfologica delle abilità di caccia che, nell’uomo, hanno rappresentato poi un fondamento neurofunzionale per lo sviluppo, attraverso civiltà e culture, di varie forme di attività marziale, sportiva o ludica[1].

La ricerca di uno specifico circuito o sotto-sistema neuronico che media il comportamento della caccia nel cervello animale ha incontrato enormi difficoltà. Primo fra tutti, il problema di componenti eterogenee assemblate per quello scopo, ma mediate verosimilmente da sostrati neurali generici, come nel caso della percezione in movimento alla ricerca della preda o degli atti motori necessari a raggiungerla e ghermirla. Altro aspetto rilevante è costituito dalla difficoltà nel distinguere il comportamento di “attacco” della fight or flight reaction da quella particolare forma di aggressività che, in molte specie, si associa all’espressione dell’istinto predatorio.

Sembra, però, che questi problemi siano stati almeno in parte risolti da Sae-Geun Park e colleghi, i quali hanno isolato l’aspetto nucleare fondamentale del comportamento predatorio quale antecedente filogenetico della caccia, e ne hanno individuato il circuito responsabile.

(Sae-Geun Park, et al., Medial preoptic circuit induces hunting-like actions to target objects and prey. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.1038/s.41593-018-0072-x, Jan. 29, 2018).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Biological Sciences, KAIST, Daejeon (Corea); Department of Mechanical Engineering, KAIST, Daejeon (Corea).

In passato, Comoli e colleghi dell’Istituto di Scienze Biomediche dell’Università di San Paolo, in Brasile, hanno cercato di delineare la mappa funzionale proencefalica del comportamento predatorio nei ratti, riuscendo a distinguere i siti cerebrali implicati in questa attività da quelli normalmente impiegati per la funzione alimentare non associata alla caccia. Tuttavia, la definizione del rapporto fra strutture attive e ruolo svolto è rimasta molto incerta[2].

Mota-Ortiz e colleghi, del Laboratorio di Basi Neurali del Comportamento della Città Universitaria di San Paolo, studiando il comportamento di “caccia predatoria”, hanno identificato il grigio periacqueduttale quale sito critico nella mediazione della ricerca della ricompensa. Il ruolo di questi neuroni sembra consistere nell’attivazione del gruppo di cellule oressinergiche dell’ipotalamo laterale[3].

Gli animali, nella ricerca del cibo, devono orchestrare atti appropriati che possono consentire loro di raggiungere una preda o procurarsi altri tipi di alimento: azioni fra cui cercare, rincorrere, mordere e trasportare. Con esperimenti di fotostimolazione nel topo, Sae-Geun Park e colleghi hanno individuato nell’area preottica mediale (MPA, da medial preoptic area) alla base di queste azioni, coordinate al fine di raggiungere lo scopo della caccia, un gruppo di neuroni positivi per la subunità α della chinasi II Ca2+/calmodulina-dipendente (CaMKIIα). Tali cellule nervose proiettano i loro assoni alla parte ventrale del grigio periacqueduttale (vPAG, ventral periaqueductal gray).

I ricercatori hanno condotto degli esperimenti in cui sono stati presentati oggetti 3D ai topi sottoposti a fotostimolazione del circuito MPA-vPAG, rilevando un vigoroso cimento degli animali con gli oggetti, e delle definite azioni di inseguimento quando i “bersagli” erano in movimento come delle prede. In altri esperimenti, in cui sono state adoperate delle prede vere, ossia dei grilli, i topi intraprendevano immediatamente la caccia, li raggiungevano e li mordevano a morte.

Un’altra interessante prova è consistita in un esperimento percettivo, in cui si è adoperato un head-mounted object control per la verifica della visione binoculare, provvedendo all’opportuna fotostimolazione del circuito MPA-vPAG: le azioni indotte dalla stimolazione artificiale del circuito MPA-vPAG si verificavano solo quando il target era rilevato all’interno del campo visivo binoculare. Usando questo dispositivo, gli autori sono riusciti a guidare i topi, inducendoli a percorrere itinerari prestabiliti.

Questo studio ha identificato una base neurale che consente al cervello di sostenere una forte motivazione all’acquisizione di un oggetto-scopo, appartenente al valore biologico della preda, nell’ambito del continuum costituito dal comportamento associato alla caccia.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-03 febbraio 2018

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si hanno tracce nelle civiltà più remote, oltre che presso gli antichi Greci e Romani, di ludi consistenti in cacce, vere o simulate. Pochi sanno che, alle sue origini, il Palio di Siena era una caccia ai tori. Era questo, infatti, il gioco pubblico più praticato in Siena e in altre città toscane sul finire del 1400. I tori uccisi, distinti in vaccini e bufalini, erano divisi in quarti e destinati ai banchetti di festeggiamento. Nel poemetto dell’Anonimo fiorentino si descrive una sontuosa caccia ai tori allestita nel 1506, alla quale partecipano quasi tutte le contrade di Siena, con carri allegorici rappresentanti l’animale emblematico (“totemico”) di ciascuna contrada. Nel 1534 a Norfolk ebbe origine la caccia alla volpe. Il Concilio di Trento proibì le cacce, favorendo l’evoluzione dei ludi pubblici verso competizioni incruente di abilità.

[2] Comoli E., et al. Functional mapping of the prosencephalic systems involved in organizing predatory behavior in rats. Neuroscience 130 (4): 1055-1067, 2005.

[3] Mota Ortiz S. R., et al. The periaqueductal grey as a critical site to mediate reward seeking during predatory hunting. Behavioural Brain Research. 226 (1): 32-40, 2012.